domenica 22 agosto 2010

Childe Roland alla Torre Nera giunse


I



Il mio primo pensiero era che lui mentiva in ogni parola,



quello storpio canuto, con l’occhio cattivo



volto di sbieco per guardare l’effetto della sua bugia



sui miei occhi e la sua bocca a stento tratteneva



l’esultanza che increspava il profilo del suo labbro,



per la nuova vittima guadagnata.



II



Perché disporsi così col suo bastone?



a tendere insidie, inganni, e vincoli,



ai viaggiatori che lo trovavano appostato



e gli chiedevano la strada? Ho indovinato gli scrosci



di risa da teschio, e la gruccia che scriveva



il mio epitaffio per gioco nella pubblica via polverosa.



III



Se dietro suo consiglio m’incammino



lungo quel tratto fatale nel quale, tutti sanno,



è nascosta la Torre Nera. Tuttavia acquiescente



ho girato come indicato, non per orgoglio



né per speranza riaccesa alla vista della meta,



ma per la gioia d’aver visto una fine.



IV



Con il mio vagabondaggio in tutto il mondo intero,



con la mia ricerca continuata negli anni, la mia speranza



ridotta ad un fantasma incapace di far fronte



a quel successo clamoroso che di gioia mi colmerebbe,



appena ora ho provato a rimproverare il tuffo che il mio cuore ha fatto,



trasalendo per l’insuccesso ormai vicino.



V



Come quando un uomo ammalato prossimo alla morte



sembra morto effettivamente e sente cadere ed asciugarsi



le lacrime e prende l’addio d’ogni amico e sente l’uno dire a



l’altro di andare, e tirare un sospiro di sollievo 



a chi è all'esterno,(poiché tutto è finito, 



ed il colpo inflitto nessun dolore può emendare)



VI



Quando alcuni discutono se vicino alle altre tombe



c’è posto abbastanza per questa e sul giorno più giusto



per meglio organizzare il funerale,



e pensano a bandiere, vessilli e doghe



ed ancora l’uomo sente tutto, e prega



di non rovinare tanto affetto restando in vita.



VII



Così, ho lungamente sofferto in questa ricerca,



e udito profezie di fallimento, tante volte



ero segnato nella "Schiera", nel numero



dei cavalieri alla ricerca della Torre Nera,



e fallire come loro sembrava ora la cosa migliore,



e l’unico dubbio era – Sarò all’altezza? -



VIII



Così, con serena disperazione mi girai da lui,



da quello storpio odioso, che dalla strada principale



indicava ancora il percorso. Tutto il giorno che



era scorso disperante nel migliore dei casi e fioco



stava apprestandosi alla relativa fine, sparando



un lampo rosso e torvo per veder la pianura ghermire il randagio.



IX



Per le insegne! Non ragionevolmente dato



in pegno alla pianura, dopo un passo o due, facendo



una pausa per gettare indietro un ultimo sguardo



or era la strada sicura, andata; pianura grigia tutto in tondo;



solo pianura fino al limite dell’orizzonte.



poter continuare, nient’altro restava da fare.



X



Sono così andato avanti. Penso di non aver visto mai



natura tanto ignobile e affamata; niente ha qui prosperato:



per i fiori – sarebbe come prevedere un boschetto di cedro!



Ma il loglio e l’euforbia, secondo la loro legge



han potuto propagare il loro genere indisturbate



ed una fragola qui, sarebbe stata un raro tesoro.



XI



No! penuria, inerzia e sgorbi, erano



il certo ordinamento di queste terre. "Guarda



o chiudi i tuoi occhi", ha detto la Natura irata,



"Ma è uguale, non c’è rimedio al caso mio,



solamente il fuoco dell' ultimo Giudizio può curare questo posto



calcinarne le zolle e render liberi i prigionieri"



XII



Se mai spuntava un ispido gambo di cardo



sopra i compagni, la testa era mozzata, o l’arenaria



ne era gelosa. Perché quei fori e gli strappi nelle dure foglie



del romice, macerate come a distruggere



ogni speranza di verde? Questo è un animale che calpesta



e distrugge la vita, con istinti di bestia.



XIII



Per quanto riguarda l’erba, cresceva rada quanto i capelli



d’un lebbroso; fili d’erba rinsecchita bucavano il fango



che appariva impastato col sangue.



Un cavallo cieco rigido e tutt’ossa,



levato in piedi istupidito, arrivato chissà come fin qua:



sicuramente cacciato dal suo servizio di stallone del diavolo!



XIV



Vivo? potrebbe essere morto per quel che ho visto,



con quel suo collo rosso e scarno ed affilato.



Ed occhi chiusi sotto la criniera arrugginita;



raramente grottesco e penoso sono andati assieme in tal guisa;



non ho visto mai un animale che odiassi così;



doveva essere ben malvagio per meritare tale sofferenza.



XV



Ho chiuso gli occhi e li ho girati sul mio cuore,



come un uomo richiede vino prima di combattere,



ho chiesto una sorsata d’antiche visioni felici,



con la speranza di sostenere la mia parte.



Pensare in seguito, in primo luogo la lotta è l' arte del soldato:



un sorso del tempo felice trascorso appiana ogni cosa.



XVI



Non per me! Ho immaginato la faccia avvampata di Cuthbert



sotto l’ornamento d’oro dei suoi riccioli,



caro amico, finchè lo sentii quasi unire il suo braccio al mio



per porre la mia mano là come s’usava un tempo.



Ahimè, per il disonore d’una notte!



L’ardore dal mio cuore esalò e lo lasciò freddo.



XVII



Giles allora, anima dell’onore, sta



generoso come dieci anni fa quando fu investito cavaliere.



E in primo luogo, ciò che gli onesti dovrebbero ardire (diceva) lui osava.



Buono - ma la scena si sposta – orrore! mani di boia



appuntano al suo petto una pergamena? Sopra si legge Traditore,



povero traditore coperto di sputi e maledetto!



XVIII



Migliore questo presente di quel passato:



avanti ancora sul mio sentiero che s’oscura!



Nessun suono, niente si scorge fin dove l’occhio può vedere.



La notte porterà un gufo o un pipistrello?



Mi son chiesto: quando qualcosa giunse ad



arrestare i miei pensieri ed a cambiarne il flusso.



XIX



Un fiume piccolo improvviso ha attraversato il mio percorso



inatteso come un serpente arriva.



Nessuna marea limacciosa ma congeniale al tetro intorno;



questo fluiva schiumando e avrebbe potuto bagnare lo zoccolo



infuocato del diavolo – in vista l’ira



del nero gorgo intercalato di scaglie e di spuma.



XX



Così piccolo tuttavia così maligno! E sul suo corso,



ontani contorti e bassi come inginocchiati sopra di esso;



e salici fradici gli erano sopra precipitosi



in un accesso di muta disperazione, folla suicida,



Il fiume che aveva fatto tutto il torto,



possibile, fluiva e scorreva imperturbabile.



XXI



E mentre lo passavo a guado – per tutti i santi - come ho temuto



di calpestare le guance d’un morto, passo dopo passo,



o di sentire la lancia che infilavo nei buchi,



impigliarsi nei suoi capelli o nella barba!




- Può essere un topo d’acqua che avevo infilzato, ma,




oddio! ha risuonato come il vagito d’un bambino.



XXII



Felice raggiunsi l’altra sponda.



E partii alla ricerca d’un posto migliore. Vana speranza!



Ignoti guerrieri avevano ingaggiato battaglia



ed il loro calpestio selvaggio ammollava il terreno



umido, ormai un pantano. Rospi in un serbatoio avvelenato



o gatti selvaggi in una gabbia di ferro rovente. –



XXIII



Tale appariva la battaglia in quella feroce arena,



che cosa li rinchiudeva là, con tutta quella pianura attorno?



Nessun' orma conduceva a quell’ orrido serraglio,



nessuna ne usciva. Un insieme pazzo scuoteva i loro cervelli



senza dubbio, come i galeotti che il Turco



aizza per divertimento, cristiani contro ebrei.



XXIV



E più ancora – duecento passi avanti - perché, là!



Per quali torture era stata piazzata quella ruota,



leva, non ruota, quell’ordigno dentato



che dipana corpi umani come seta?



Preciso come lo strumento di Tofet, che ha dimenticato sulla Terra



o ce l’ha portato per affilarne i denti arrugginiti d’acciaio.



XXV



Poi giunsi ad una ceppaia, una volta un bosco,



e dopo quella che sembrerebbe esser stata una palude, ma ora solo terra



disperata e sfatta; (così un folle trova da rallegrarsi,



fa una cosa e poi la guasta, finchè il suo umore cambia



e si spegne!) all'interno d'un quarto d’acro



- palude, argilla e ghiaia, sabbia e nero seccume.



XXVI



Ora bubboni dalle macchie colorate e torve, ora zone



ove dal terreno erompevano muschi,



o materia di pustole; e poi



una quercia rachitica barcollante con uno squarcio nel mezzo



simile ad una bocca storta che si fende ai lati



spalancata alla vista della morte e morta nel raccapriccio.



XXVII



Ed ero lontano più che mai dalla meta!



Niente laggiù se non il buio, niente,



a guidare più oltre il mio passo! A quel pensiero,



un uccello nero grande amico d’Apollyon,



passò volteggiando, immoti le grandi ali spiegate di drago,



fino a sfiorarmi il cimiero – forse era la guida che cercavo.



XXVIII



Osservando in alto, mi accorsi non so come,



a dispetto dell’imbrunire, la pianura aveva dato il posto



tutt’intorno alle montagne - con tale nome da far fiorire



alture brulle furtivamente apparse-.



Quanto mi avessero sorpreso – a voi scoprirlo!



Il vero problema era adesso come allontanarsene.



XXIX



Tuttavia m’è sembrato di riconoscere un certo trucco



che m’era capitato, dio sa quando –



in un sogno difettoso forse. Qui si concludeva dunque



il cammino. Quando, proprio nel momento



d’arrendermi, una volta ancora, un clic



come quando una trappola si chiude – e resti dentro.



XXX



Come fiamma che è venuta su me tutto d'un tratto,



questo era il posto! quelle due colline a destra,



acquattate come due tori che si sono intrecciati 



i corni nella lotta; mentre a sinistra  stava un’ alta montagna 



pelata... Zuccone, idiota, rimbambirti nel momento cruciale,



dopo una vita spesa ad addestrarti nella visione!



XXXI



Che cosa c’era lì in mezzo, se non la Torre?



la torre tozza e rotonda, cieca come il cuore dello sciocco,



eretta con la pietra scura, senza uguale al mondo intero.



Lo spiritello beffardo della tempesta



indica così al marinaio lo scoglio affiorante, dove può cozzare



solo quando il fasciame sobbalza.



XXXII



Non vedere? a causa della notte forse? - perché il giorno



tornò ancora! Prima del tramonto,



ed il tramonto morente brillò da una fessura:



le colline, come i giganti a caccia, appostate,



mento sulla mano, davanti alla bestia braccata -



'Ora affonda la lama fino all’elsa – e uccidila! '



XXXIII



Non sentire? Quando il fragore era dappertutto!



E un rintoccare crescente come di campane. I nomi nei miei orecchi



di tutti i compagni di ventura, miei pari, persi –



come tal era forte e tale era ardito



e tale fortunato, tuttavia ciascun compagno d’un tempo, perso,



perso per sempre! per un momento rintoccò la tristezza degli anni.



XXXIV



Stavano levati in piedi, sparsi lungo il pendio, venuti



ad osservare il mio ultimo istante, struttura vivente



per un' nuova immagine! Fasciati di fiamme



l’ho visti e l’ho riconosciuti tutti. Allora



portai il corno alle labbra e soffiai:



' Childe Roland alla Torre Nera giunse. '



traduzione di Vittorio Baccelli

Nessun commento:

Posta un commento